Scambio di email tra Daniele Garbuglia e Tommaso Soldini
Hotel La Ginestra, Ristorante Il passero Solitario, Gelateria artigianale Leopardiana, Osteria La donzelletta… Caro Tommaso, io sono nato e cresciuto tra questi luoghi, come puoi immaginare perlare di L. per me è molto difficile, un argomento sensibile.è una cosa che non ho mai fatto, forse volutamente. Ho cercato sempre di tenerlo a una giusta distanza. Prima che un poeta per me è una presenza, un’ombra ingombrante. Pensa che durante l’adolenscenza andavo in giro per la città, magari mi colpivano dei particolari e li appuntavo – era in qualche modo il mio apprendistato letterario, – un tipo di luce, un paesaggio. A casa scrivevo qualche poesia e mi accorgevo che l’aveva già scritto lui molto meglio di me. Una frustazione continua, da questo punto di vista. E parlare della città come una “dipinta gabbia”, rende benissimo il sentimento di bellezza del luogo e al contempo di reclusione, ma anche di forma e di invenzione.
D
Ho poche immagini di Recanati, poche e malinconiche. Ci sono stato una volta, orai quindici anni fa, si trattava di una delle prime fughe da casa, forse la prima vacanza da solo, tra liceo e università. Io devo molto a Giacomo Leopardi, nel bene e nel male. Prima delle sue poesie scaldavo come tanti i banchi della scuola pubblica, faticosamente cercavo di barcamenarmi tra le richieste dei troppi docenti delle troppe materie, tutte egualmente indispensabili agli occhi di chi scandiva le nostre vite a suon di lavori scritti, interrogazioni, pagine da mandare a memoria. Leopardi mi aiutò a capire perché avevo tollerato e sopportato tutto quel carico di logaritmi e funzioni, versioni latine, esperimenti di chimica, illuminò una via, tra letteratura e filosofia, uno spiraglio che sembrava parlare proprio a me. Arrivai a Recanati dopo diverse ore di macchina, traffici rallentati nei pressi dei centri urbani, soste agli autogrill per aumentare il livello di caffeina, ci arrivai di sera, col buio, sapendo di entrare in un luogo che l’aveva fatto soffrire eppure ancora maldestramente capace di idealizzare, di credere che i miei sentimenti potevano dare forma alle cose.
Alloggiai alla locanda Il passero solitario, dopo quattro fette di prosciutto crudo e un bicchiere di vino, che il gentile oste mi servì nonostante l’ora. Quei bocconi andarono giù male, inghiottivo realtà non maiale, è strano parlarne oggi, ma allora mi sembrava che i recanatesi avessero trovato il modo per continuare a odiarlo, lucrando sul suo cadavere, sulle sue memorie.
T
In quella che tu chiami locanda, Il passero solitario, ho lavorato come cameriere dall’età di quattordici anni! Andavo la domenica per i pranzi di comunioni, cresime, battesimi, qualche anniversario. Lavoravo tantissimo e guadagnavo i miei primi soldi.
Ma ti volevo parlare di un’altra cosa. Forse quando sei venuto quindici anni fa ancora non c’erano, ma ora arrivando troveresti dei cartelli con la scritta Recanati – Città della poesia. Ma non basta, hanno creato anche il Centro Mondiale della Poesia! Non ti vengono in mente portaerei pronte ad attaccare, missili terra-aria sulla rampe di lancio… pale meccaniche di un Caterpillar per afferrare una piuma?
C’è un’opera di Maurizio Cattelan in cui tre bambini sono appesi con una corda a un albero e hanno gli occhi aperti. A volte camminando per la città mi sembra che il piccolo G sia appeso a uno di quei rami, – non so dirti come sia finito lì, se per scelta o se qualcuno l’ha obbligato a starsene lì – con gli occhi ancora aperti sull’oggi.
D
È bella quest’immagine degli occhi aperti sull’oggi, occhi spalancati che purtoppo mi rinviano anche alla scena di Arancia meccanica, in cui il protagonista è condannato a guardare immagini di violenza, per guarire o trovare una redenzione. Non so cosa ne pensi, ma la ritrovo questa violenza cieca nello sguardo acceso di L, non decido se senza lacrime oppure umido, anche se mi piacerebbe vederlo lì, a Creta, che piange il fiume infernale. C’è forse un fondo di sadismo in chi parla di lui alle nuove generazioni, in chi coscientemente fende e penetra il cristallino pannoso dei candori giovanili per regalare loro nuovo nitore. Adesso taccio, magari con un’ultima immagine, di un gelato o di un pasticcino, visto nella vetrina, sotto la campana di vetro, comprato, scartato, ingoiato. Lo zucchero che raggiunge il palato è un’estasi che offusca la vista.
Che dici?
T
Ho l’impressione Tommaso che abbiamo girato a vuoto intorno a un vortice che tutto inghiotte in sé, un buco nero che ci attrae e non ci permette di allontanarci. Ero certo fin dall’inizio di andare incontro a una sconfitta, all’incapacità di avvicinarsi a lui senza restare in qualche modo scottati.
Mi piacerebbe comunque chiudere con dei versi di Giorgio Caproni: Sono tornato là / dove non ero mai stato. / Nulla di come non fu è mutato.Mi chiedevo se fosse convincente la chiusura con l’ammissione di impotenza di fronte a cotanto fantasma. In fondo, l’abbiamo entrambi presa di lato, più o meno, per cui, se riflessione deve esserci, la lascerei al lettore. A me, parole di quel genere, fanno sempre pentire di aver letto il testo. Tuo T
PS Non so se a Recanati ci sono delle buone gelaterie. Magari la prossima estate potremmo farci un giro insieme.
da nostro lunedìleopardi
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