Flowery letters

Le lettere dell’alfabeto vestite con elementi floreali multicolori
espressione di un visual fresco e divertente per costruire emozionali esperienze visive.
Oggi proponiamo la del Bodoni.

K-BodoniK/Bodoni
Giambattista Bodoni, nato nel 1740, è figlio di un tipografo e impara il mestiere
alla bottega del padre.
Lavora a Roma alla stamperia vaticana e in seguito decide di lasciare Roma per far visita
a Baskerville a Birmingham di cui è un grande ammiratore.
A causa di una malattia è costretto a rimanere in Italia e durante la convalescenza viene raggiunto da un invito del duca di Parma Ferdinando di Borbone, che gli propone
di impiantare la stamperia di corte.
Si trasferisce così a Parma, dove intraprenderà la sua carriera di tipografo di corte
e tipografo dei re, verrà infatti visitato da regnanti di molti paesi
oltre che nobili ed intellettuali.
Bodoni appena incomincia ad incidere i caratteri per la stamperia di Parma, elabora rapidamente un proprio stile, abbandonando le decorazioni eccessive ripulendo la pagina dedicandosi alla lettera e la sua impaginazione.
L’alfabeto Bodoni richiede al lettore più attenzione, si impone e quasi si frappone
fra il testo e lo spettatore.

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Gabriele Via. Il riposo di cui parlo

“Il riposo di cui parlo”

Finalmente oggi,
dopo tanti anni,
mi sono riposato.

Ho potuto vedere
l’intangibile entità che sono:
tra l’emozione del sogno
e la caduta
nel dominio frettoloso
delle cose che avvengono,
in misura tanto del pensare,

del dire e del fare.

C’è un’ortogonalità
in cui le cose storte respirano,
nel volgo celeste degli accidenti.
Lì, il ricordo e la speranza
hanno le stesse luci;
piaceri e dolori stesse radici.

E se vedi da di fuori lo chiami
mondo; ma se la vivi da dentro
la senti come la tua immensa vita.

In ogni caso è un qualcosa
di infinitamente più grande:
come il mare è sempre lì;
ma non se ne sta mai fermo davvero:
insonne.

Poi, senza nome, nemmeno indirizzo,
sorge una calda pietà d’amore.

Sempre caro, quindi… E infine dolce.

Ma c’è un più grande dolore
e sordo, e livido, e subdolo:
porta sempre un nome antico di città.
Ha un urlo indiretto
e chi non lo legge ride incuriosito.

È l’improvviso dolore di sempre;
dove si dimenano le contese,
l’urlo acerbo della piazza,
il singhiozzo rotto del poeta,
i primi baci rubati dei ragazzi,
e il farabutto
di vicolo o quello di palazzo.

E a malapena riesce a giungere
l’occhio amico della sera, lì dove sei:

e capisci soltanto che ti porti addosso
la fatica inutile di vivere
organizzata alla bell’e meglio
nei gangli ciechi del dolore.

Perché non basta correre e saltare;
mangiare o dormire… Viene il tempo
in cui scopri la sete
del riposo di cui parlo:
del presagio da avvertite.

Ché poi la vita non lo sa nemmeno;
e se ne fugge via in un baleno.

E siccome la vita ha un nome sbagliato
ora è il tempo di quel che è:

il riposo di cui parlo
e di cui ho già parlato.

Tratto da “Una disordinata bellezza”

foto Gabo per libro

Gabriele Via è un poeta, filosofo, performer e fotografo. Ricerca l’essere, col fare: drammatico, pratico e poetico. Cammina: due volte dalla Francia a Capo Finisterre
lungo il cammino di Santiago. Studia filosofia, teologia, natura e umanità.
Cucina, suona, plasma l’argilla e apprende i nomi delle cose.

“A morsi leggeri e precisi, Via strappa lembi di cielo per farlo sanguinare e far piovere sulla terra qualche sprazzo di pioggia feroce. Ma il suo volo, per salire nello spazio e catturare parole, è da angelo che sa arridere anche quando ferisce. Quindi, avendolo da sempre letto con attenzione, vorrei suggerire di stare attenti ai morsi, che non sono da serpente nero ma, ripeto, da artista vigile che non si stanca di cercare e di assaltare, sapendo almeno quel che vuole; nella tensione di dare ordine al proprio rabbioso sgomento, e di non appagarsi di semplici soluzioni o di poche cauzioni. Gabriele scava induce rivolta ara il campo del mondo su cui noi arranchiamo; mantiene all’erta se stesso; tende anche a risvegliare dal sonno della ragione e riflessione gli altri camminatori. Ha una attenzione ubiqua, che gli propone e sottopone dettagli a non finire, che lui non cataloga ma seleziona esaltandoli, per esemplificare. L’induzione ad una conclusione morale – una conclusione forte – a me sembra la costante privilegiata di questo suo violento e dolce raccontare che non ha fine. Non può avere fine. Non deve avere fine.”
Roberto Roversi

 

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Nel cuore di un’azienda – parte 2

Luigi Sauro per AnconAmbiente. Il cuore dell’azienda sono i lavoratori visti attraverso
gli scatti di gesti quotidiani, sui volti, sui servizi che l’azienda svolge.

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“Dall’ atto del click alla post-produzione seguo io la foto. Non perchè io sia diffidente,
sia chiaro…ma perchè vedo la foto finita già prima di scattarla,
diventa una mia appendice, una sorta di figlio da crescere ed accudire.
Una cura a volte maniacale, lo ammetto.”

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“Ogni lavoro per me è una sfida, sempre. Ed anche questa lo è stata.
Riuscire a documentare lo sforzo e le capacità che caratterizzano ogni giorno i ragazzi
di AnconAmbiente. Mettere l’accento su un lavoro troppo spesso sottovalutato;
farlo attraverso ciò che i miei occhi hanno visto. Professionisti invisibili si aggirano
per la città con l’umiltà di chi è indispensabile senza farlo notare. I miei occhi hanno visto qualcosa di essenzialmente romantico ed il bello del mio lavoro è quando la visione
nella mente si trasforma in un nodo alla gola: quella è la fotografia che cercavo.
La realtà vista non per ciò che si conosce ma per ciò che è veramente.”

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Luigi Sauro è un giovane e creativo fotografo di Ancona, dove opera nel suo studio fotografico.È specializzato in servizi fotografici matrimoniali;
associato all’esclusivaWedding Photojournalist Association,
l’organizzazione che unisce e riconosce i più bravi fotografi matrimonialisti
di tutto il mondo. Matrimoni e non solo; importante il lavoro realizzato per AnconAmbiente, unico nel suo genere.

Luigi Sauro Web Site

AnconAmbiente.it

 

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Piccolo blues – Massimo Raffaeli

Di Massimo Raffaeli
tratto da nostro lunedì
n. 2 forme – prima serie

26-27Non sapevo, da bambino, cosa volesse dire una forma.
Non ne avevo ovviamente coscienza. Vedevo e toccavo ogni giorno migliaia di forme ma, evidentemente, esse erano dei semplici rilievi del guardare e dell’ascoltare: erano le cose, tutte le cose, astratte e concrete, una diversa dall’altra, e nient’altro.
Vale a dire che esistevano le forme, o meglio, ogni volta, le cose con una loro forma,
ma non esisteva affatto la Forma. (Tanto più che il buonsenso, intorno a me, tutto il tempo avviliva ogni possibile astrazione, persino la domanda se esistesse o meno, questa Forma). Tutti sembravano badare al contenuto delle cose; anzi dicevano ossessivi,
di qualunque cosa parlassero, “guarda al contenuto, non alla forma”. Perciò sospettavo oscuramente, senza affatto conoscerla, che la forma fosse una copertura ipocrita,una foglia di fico, un inganno, simile alla stagnola lucida di certe gomme americane troppo dolci che appena le scartavi si squagliavano, sbrodolando, e dovevi poi sputarle
invece di masticarle. Tanto più che della forma era maniaca, e ne parlava come della cosa più importante nella vita, una donna che disprezzavo, che ho odiato con tutto me stesso,
la mia maestra di prima e seconda elementare. Pronunciata da lei,”forma” era sinonimo
di contenzione, di stare fermi e muti a braccia conserte. Il calamaio che non trabocchi,
a sinistra i pennini e la carta assorbente, a destra invece il quaderno e la penna,
la cartella ben chiusa sotto il banco. Forma erano anche le poesie che ci faceva imparare a memoria ed erano una  fissa, per lei: l’inno di Mameli, Sole che sorgi libero e giocondo,
i versi di Ada Negri e Renzo Pezzani. Io ripetevo a pappagallo, ma sentivo che quelle cose lì mi facevano schifo (continuano a farmelo).

L’Italia chiamò: che senso poteva avere? e perché la troncatura, nel finale?
Sembrava che l’Italia fosse lei in persona, quando faceva l’appello, chiusa nel grembiule nero, alta e secca come lo spaventacchio: pensavo infatti che agli appelli di lei era meglio non rispondere, nella vita. Tra l’altro avevo scoperto che la maestra proprio sulle forme barava: una volta disse che il giorno dopo non saremmo andati a scuola perché era festa, si ricordava il compleanno di Guglielmo Marconi, grande inventore, e ci diede per compito da scrivere delle belle frasi sul telegrafo senza fili; mio padre diede fuori di matto,
e così venni a sapere che invece si trattava del 25 aprile, ricorrenza della Liberazione,
la quale ci aveva salvato – questo fu lui a dirlo – dalle carampane fasciste uguali a lei,
o almeno ci aveva provato.) Eppure fu a scuola, qualche anno dopo, che la Forma
mi si svelò per quel che è, corposa, sostanziosa, necessaria, come un oggetto che si trova dopo averla molto a lungo (senza requie e coscienza) cercato: la cosa che volevi dire tu ma non potevi, o non sapevi. Dunque la cosa-in-sé. Va aggiunto, per inciso, che andavo alle medie verso la fine degli anni Sessanta, che l’universo dentro e intorno a me cambiava in fretta; che cominciavo a intuire che il mondo era diviso almeno in due (chi sta sopra
e chi sotto; chi ha e chi non ha; chi va in giro con la Fiat Seicento e chi invece in bicicletta come prima della guerra) quando una mattina la supplente di italiano, tanto per riempire un’ora vuota, fece aprire l’antologia (non ricordo il titolo né niente, solo che era massiccia, con la copertina gialla, pubblicata da Paravia) e prese a leggere una poesia che mi colpì come nemmeno una sassata. Brevissima, bruciante, insieme con essa l’immagine
della fiamma ossidrica si sovrappose (estinguendole di colpo) alle cornicette e ai fiori olezzanti con cui la mia vecchia maestra amava adornare il suo letame. Andai ad Atlanta, mai stato prima: i bianchi mangiano la mela, i negri il torso. Lì per lì quasi nulla,
ma poi quelle poche parole hanno cominciato a rimbombarmi dentro; ci ho impiegato
del tempo a capire, ma infine ho compreso, o tuttavia lo credo. (La campagna e la città,
il mondo della ricchezza e del privilegio mischiato a quello della privazione.
Insomma la vita stessa. L’eterno due-in-uno. Due cose contrapposte, tensive, però strette da una cosa sola. O meglio due menzogne retoriche, questo lo so soltanto adesso,
cioè l’anafora e l’antitesi, per dire paradossalmente una sola verità. Il mese dopo la foto
di Carlos e Smith che, alla maniera delle “pantere nere”, alzano il pugno chiuso sul podio di Mexico City fece il giro del mondo: seppi anch’io cosa voleva dire). Ci ho messo
altri vent’anni a ritrovarla in un libro. è successo altrettanto di colpo, per caso,
sopra una bancarella di volumi usati: così ho scoperto che l’epifania della Forma, per me, non era neanche stata una poesia, ma appena i versi (saranno in tutto una decina)
di un piccolo blues (mai sentito cantare) a firma Langston Hughes.

 

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Kumo

Musiche originali  e piano di Luca Longobardi.
Immagini prese da “A bird ballet” di Neels Castillon, location: Marsiglia, Francia.

Luca Longobardi  nasce a San Lucido, vicino Cosenza, nel 1976.
E’ un pianista e compositore. Unisce alla prassi esecutiva classica del repertorio
una spiccata apertura verso la contemporaneità del linguaggio musicale.
La sua carriera come esecutore vede all’attivo numerosi concerti in Italia e all’estero
come solista, solista con orchestra e in formazioni cameristiche.
La profonda dedizione alla conoscenza della musica lo spinge all’esplorazione
del repertorio contemporaneo e allo stesso tempo, a iniziare un percorso compositivo
che lo porterà a creare un linguaggio distintivo e chiaro, arricchito da contaminazioni provenienti da diversi universi musicali: dalla musica popolare a quella etnica,
dal jazz allo sperimentalismo elettronico.

Dal 2002 al 2005 lavora come maestro di ballo presso il Teatro San Carlo di Napoli,
sotto la direzione di Elisabetta Terabust per il balletto “Barmoon”.
L’esperienza vissuta al teatro partenopeo e la partecipazione a produzioni indipendenti
di danza contemporanea lo avvicinano alla regia, al light-design e alle elaborazioni grafiche d’immagini, iniziando così una ricerca di sperimentazione verso un teatro totale attraverso una personale lettura su piani diversi della multimedialità sonora e visiva.

Nel gennaio 2011, inizia il tour con lo Showcase “29|33 MicroBasicMacro”,
una live performance che unisce alla musica, action painting e danza contemporanea,
in un allestimento che cambia nel rispetto della location che la ospita: dai piccoli spazi
dei locali, a quelli più ampi dei teatri indipendenti, in uno spettacolo che cambia continuamente per forma e impatto sul pubblico.
“B612”, il suo secondo lavoro discografico, amplia ulteriormente le prospettive sonore: suoni campionati ad hoc costruiscono terrazze melodiche attraverso l’uso di loop-machine virtuali ricreando luoghi musicali immaginati con forti tinte folk ed etno.

“#Espace13”, il suo terzo album, presenta brani per pianoforte solo, per orchestra
ed elettronica, disegnando così un piccolo angolo musicale intimo e raffinato
che ben rappresenta la maturità compositiva ed esecutiva del suo linguaggio.
Tra il 2012 e il 2013 collabora con Gianfranco Jannuzzi, Renato Gatto
e Massimliano Siccardi curando le scelte musicali e scrivendo la colonna sonora originale di “Monet, Renoir…Chagall. Voyages en Méditerranée” e “Rêve”,
gli spettacoli multimediali ospitati nella suggestiva Carrières de Lumières
a Baux-de-Provence.

Dallo stesso percorso compositivo di sperimentazione timbrica e formale
nasce “P.eople”, un Ep che mescola dronescape music, elettronica e pianoforte
per raccontare sette piccole storie di vita quotidiana. Il lavoro, che riceve grande consenso di critica e pubblico in Italia e all’estero, rappresenta un riuscito sodalizio tra il pianismo classico e l’elettronica sperimentale.

Luca Longobardi su SoundCloud

 

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Salento e Biodanza

Uno splendido bio-agriturismo nel cuore del Salento, un viaggio esistenziale
ed esperienziale, vita gioiosa e assoluto relax, piscina cristallina, cibo biologico
poi il mare con gli stessi luoghi in cui Ferzan Özpetek ha girato “Allacciate le Cinture”.
A questo aggiungete la possibilità di danzare come se vi trovaste in un viaggio esistenziale ed esperienziale ispirato dai “Quattro elementi” e dagli “Archetipi maestri”.

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Biodanza in Masseria  è musica, movimento e comunicazione espressiva per lo sviluppo armonico della persona. Accade nella Grecia Salentina, nei pressi di Lecce
delle più belle spiagge della Puglia, dal 2 al 9 agosto. Le giornate vivranno di un risveglio dolce con la meditazione del mattino, mentre prati verdi e terrazze fungeranno da luoghi esclusivi dedicati alle danze e alle escursioni che arricchiranno il soggiorno,
il tutto in una miscela di arte, cultura e natura tra città barocche e grotte marine.

La settimana danzante avrà luogo presso l’Agricola Samadhi, un agriturismo biologico
di ultima generazione situato nel sud della Puglia, a Zollino, nella campagnia della Grecìa Salentina e a pochi passi dalla suggestiva e antica stazione ferroviaria del paesino. L’agriturismo, vicino alle spiagge di San Foca Porto Selvaggio, gode di una posizione strategica per andare alla scoperta di tutto il Salento ed è avvolto dall’atmosfera
della Puglia più affascinante e autentica.

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Inoltre, oltre alla danza e al mare, ci saranno gli attesi e imperdibili appuntamenti
con i sapori del luogo, all’insegna della abbondanza e della assoluta qualità alimentare, tutto all’insegna degli ingredienti biologici locali e dei criteri di alimentazione vegetariana.

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La Biodanza in Masseria è un’idea di Giancarlo Prota e Gianni De Lucia,
insegnanti titolari didatti di Biodanza, che da anni conducono, stage e seminari
residenziali in Italia e all’estero.

Biodanza in Puglia

Agricola Samadhi

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wineOwine. Il vino più raffinato al miglior prezzo!

wineOwine è l’enoteca online che ti porta alla scoperta di piccoli produttori
e vini di nicchia.

wineowine

Questa startup, con sede vicino alla stazione Termini di Roma,
prende vita dall’incubatore d’imprese LUISS ENLABS  ed è specializzata nella vendita
di vini difficilmente reperibili altrove, perché provenienti esclusivamente
da piccoli produttori di nicchia e realtà artigianali.
L’idea sta riscuotendo successo, perché la bottiglia arriva direttamente a casa.
Questa piccola e giovane realtà ha fatto una scelta ben definita,
infatti ha deciso di lavorare solamente con i piccoli produttori per differenziarsi
dalla concorrenza e proporre etichette vinicole di nicchia, che difficilmente si trovano
da altre parti. Essendo inoltre grandi amanti del vino, le giovani menti di wineOwine
hanno a cuore l’immenso patrimonio viti-vinicolo e culturale italiano, fatto di grandi persone che lavorano con passione e dedizione, ma che a volte non hanno i mezzi
per farsi conoscere dal grande pubblico. Per questo motivo, la mission aziendale
acquista anche dei risvolti sociali, perchè salvaguarda questa preziosa eredità
allo stesso tempo gastronomica e culturale.

WineoWine3
Questa piccola grande impresa è dotata di un team di esperti sommelier ed enologi,
che perlustrano la nostra penisola alla ricerca di cantine e degustazioni, curando poi, personalmente, la scelta dei vini che vengono inseriti sul portale. Così, la costante ricerca dei migliori vini prodotti da cantine sconosciute costituisce il punto di forza di wineOwine.
Un’eccellente rapporto qualità/prezzo deriva dal contatto diretto con i produttori,
con lo scopo di proporre i vini online al miglior prezzo, tagliando i costi della distribuzione tradizionale. wineOwine elimina i passaggi intermedi tipici della filiera di distribuzione
con un grande vantaggio per il consumatore sia in termini economici che ambientali, riducendo inoltre le emissioni di CO2.
Ogni due settimane vengono selezionate sei etichette di vino,
in modo che si possano scoprire ogni volta nuove vigne e nuovi produttori.
Ogni campagna di vendita online comincia il lunedì alle ore 00.00
e finisce due domeniche dopo alle ore 23.59.
wineOwine non è la solita enoteca online. I vini sono difficilissimi da trovare in altri canali come supermercati, enoteche o e-commerce di vino, ma con questa idea innovativa
si possono fare arrivare dei prodotti pregiatissimi direttamente nelle proprie case
e con una facilità straordinaria nei tempi e nell’acquisto.

Se non siete ancora partiti per le vacanze e volete evadere dall’afa e dal trambusto metropolitano, non vi resta altro che dare un’occhiata al portale (link), per lasciarvi cullare dai sapori e dagli odori delle pacate e passionali campagne italiane.

Scopri wineOwine

 

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Flowery letters

Le lettere dell’alfabeto vestite con elementi floreali multicolori
espressione di un visual fresco e divertente per costruire emozionali esperienze visive. Oggi proponiamo la J del Century

J century-12

J/Century
Nella storia dei caratteri “moderni”, una linea laterale è quella seguita dai cosiddetti
scozzesi”, gli Scotch Roman. Verranno così chiamati negli Stati Uniti i caratteri incisi da Richard Austin per la fonderia Miller di Edimburgo, Scozia, all’inizio dell’ottocento.
Austin restringe e modera i contrasti, accorcia i tratti ascendenti e discendenti,
con un obiettivo più concretamente pratico, di economia e leggibilità.
Gli scozzesi sono gli antecedenti del fortunato Century.
In America arriva il revival della tipografia inglese sulla scia di William Morris e rinasce
l’interesse per l’armonia tipografica, così, su commissione dello stampatore e studioso
di storia della tipografia Theodore Low De Vinne, viene creato questo carattere
dall’ americano Linn Boyd Benton, inventore della punzonatrice meccanica,
per la composizione della rivista “Century”.
Il carattere doveva avere un tratto più marcato rispetto a quelli troppo sottili
dei caratteri già esistenti. Benton lavora così sulla base degli “scozzesi”, migliorandone la leggibilità ma mantenendone alcune inconfondibili caratteristiche, come la zampa della R a ricciolo.

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Paolo Fileni. Il destino dei tonni

copertina ebook Il destino dei tonni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1957.
La porta di legno si aprì lentamente cigolando sui cardini arrugginiti. L’uomo uscì di casa ancora assonnato, e quasi incespicò nello scendere i tre gradini che lo separavano dall’acciottolato della piazzetta. Imprecando a bassa voce, si fermò sulla soglia
per accendersi una sigaretta. Sfregò un fiammifero di legno sulla pietra del muro di casa
e lo avvicinò alla punta dell’alfa senza filtro. La prima boccata di fumo della giornata,
lo ripagò ampiamente della levataccia.

Gettò lontano il fiammifero, che si spense ancor prima di toccare terra, e si guardò intorno. Le barche da pesca multicolori erano allineate, come sempre, una di fianco all’altra
sulla battigia. Dietro, a una decina di metri, il mare plumbeo e sconfinato ondeggiava pigro e calmo. Lo guardò a lungo, assorto in pensieri confusi, domandandosi
se anche quella sarebbe stata una buona stagione di pesca.

Tirò un’altra boccata dalla sigaretta, scrollò le spalle per adattarsi all’aria frizzantina
e spostò lo sguardo al cielo. L’umidità e la foschia impedivano la vista verso l’orizzonte, ma sopra di lui le stelle più luminose resistevano palpitando appena alle prime luci dell’alba. Di certo, sarebbe stata una buona giornata, si disse, respirando a pieni polmoni
il persistente profumo proveniente dagli agrumeti.

Alle sue spalle, le vecchie case bianche e ocra dei pescatori di Fusìne si allungavano sull’altro lato della piazzetta, una attaccata all’altra. Erano così simili, e così vecchie,
che davano l’impressione di dover cadere da un momento all’altro. Eppure c’erano già
ai tempi di suo nonno e prima ancora. Avevano ospitato gli uomini di Garibaldi ai tempi della spedizione dei Mille, e quasi tutte avevano sopportato le bombe tedesche
e americane durante la seconda guerra mondiale.

Saranno ancora lì, si disse, quando i miei nipoti giocheranno in piazzetta.
‹‹’Ngiorno, Peppino.››
Assorto com’era, l’uomo non si era accorto della presenza discreta alle sue spalle. Quando si girò, riconobbe il ragazzo e gli sorrise.
‹‹Oh, Ninnuzzo, che ci fai alzato a quest’ora?››
‹‹È ora che anch’io mi guadagno la panatica›› rispose assonnato il ragazzo.
‹‹Sei sicuro? Ma non sei troppo giovane per pescare i tonni?
Ai picciuttieddi* non la pagano la giornata.››

‹‹Non sono più un ragazzino›› sbottò Ninnuzzo. ‹‹A ottobre faccio sedici anni,
e tu alla mia età stavi già sulla muciara del rais.››

Peppino guardò il ragazzo, e per un attimo rivisse le emozioni della sua prima stagione
di pesca al tonno. Erano già passati quattro anni. Ricordò la notte insonne
alla vigilia della scelta della ciurma; gli occhi increduli e canzonatori dei marinai adulti, veterani della tonnara, quando lo videro armeggiare con cime e galleggianti;
la voce burbera del rais che chiamava il suo nome insieme ad altri duecento marinai…

‹‹I tonni sono bestie enormi, Ninnuzzo›› disse Peppino tornando alla realtà,
con l’intento di saggiare la convinzione del ragazzo. ‹‹Duecento, trecento,
anche cinquecento chili, e te li devi tirare nel varcarizzo con la sola forza delle braccia.
Ce la farai?››

‹‹Ce l’hanno fatta tutti›› rispose Ninnuzzo facendo spallucce, ‹‹ce la farò pure io.››
‹‹Ti sporcherai di sangue›› insistette Peppino. ‹‹Sangue di tonno dappertutto, nei capelli, sulle braccia, negli occhi, in bocca… sangue e puzza di pesce marcio per quattro mesi.
I vecchi marinai ti piglieranno per il culo, ogni volta che un tonno ti scapperà di mano.
E tu, che farai?››

‹‹Io, c’infilo un crocchio nel loro buco merdoso, e ci faccio colare
dentro un litro di lattume.››

L’uomo scoppiò in una sonora risata, subito imitato dal ragazzo.
‹‹Vieni qui, Ninnuzzo, che ti faccio vedere una cosa. La vuoi una sigaretta?››
Il ragazzo gli si avvicinò. Prese l’alfa e l’accese, aspirandone il fumo forte senza tossire.
A Fusìne, in quel lontano 1957, i giovani erano precoci in tutto.
Se erano buoni per la pesca al tonno, come gli adulti, erano buoni anche per fumare (…).

(Tratto dal capitolo 1).
* ragazzini

Sicilia, 1957. A Fusìne, antico villaggio di pescatori che sorge a un tiro di schioppo
da Porticello (Palermo), la comparsa nel cielo della costellazione delle Pleiadi
annuncia l’inizio della stagione di pesca al tonno. Glauco Sopello, il rais della tonnara, raduna in piazzetta la moltitudine di persone alla ricerca di un ingaggio per quel lavoro stagionale. Salvo Giardì, figlio minore di don Nanni, padrone della tonnara e dei destini
di tutta quella gente, scorge tra la folla il viso giovane e bello di Maria Bonvento.
E da quel momento, la vita e i destini degli abitanti del borgo cambieranno radicalmente. Uno spaccato lucido e dettagliato di una Sicilia che non c’è più. Una storia d’amore contrastato che si mischia alla mattanza di pesci e uomini, sotto la folle regia
di un burattinaio convinto d’essere il padrone assoluto dei destini degli uni e degli altri.

Paolo Fileni nasce a San Marcello nei pressi di Ancona il 29 giugno 1954
e dopo aver vissuto tra il Piemonte e la Liguria, risiede oggi a Camerano.
Paolo è un giornalista professionista. Ha lavorato per testate come: ViviPino, PinoInforma, Hurrà Juventus, La Nuova, La Nuova Metropoli, Biancorossoancona. Nel 1983, per i “Tipi” di Gribaudi Editore,
ha pubblicato il romanzo breve “Tornare a vivere”, nel 1990 ha pubblicato
la raccolta di poesie “Frammenti d’oziosi pensieri”, mentre nel 2014,
presso Amygdala Editore, ha pubblicato l’e-book “Il destino dei tonni”,
presente in tutte le principali librerie virtuali in internet.
Negli anni ha partecipato ad una ventina di premi letterari, risultando sempre tra i finalisti.
Dal 2000 al 2005 ha fondato, presieduto ed organizzato un premio letterario nazionale: “Il Pinayrano” (narrativa edita e inedita; poesia edita e inedita).
Dal 2013 al 2014 è presidente della Consulta della Cultura del comune di Camerano.
Attualmente sta lavorando al sequel de “Il destino dei tonni”.

“Il destino dei tonni” di Paolo Fileni è pubblicato, anche nella versione e-book,
da Amygdala Editore nel giugno 2014. Lo si può trovare su: amazon.itibs.itbookrepublic.it e LibreriaRizzoli.it

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Nel cuore di un’azienda

Luigi Sauro per AnconAmbiente. Il cuore dell’azienda sono i lavoratori visti attraverso gli scatti  di gesti quotidiani, sui volti, sui servizi che l’azienda svolge.

“Sono un rittrattista perchè ritengo che i rapporti umani siano fondamentali.
Riesco a dare il meglio della mia forza comunicativa attraverso
lo strumento fotografico, metto a nudo le emozioni.”

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“Il cuore dell’azienda sono le lavoratrici ed i lavoratori di Anconambiente: è a loro
che questa mostra viene dedicata attraverso gli scatti sui gesti quotidiani, sui volti,
sui servizi che l’azienda svolge.
Le immagini tracciano l’impegno e la professionalità di tante persone, un impegno
che si rinnova ad ogni ora del giorno mentre la città vive, dorme o si risveglia alle prime luci dell’alba. Festività, caldo, ferie, notte, freddo, altezze, anonimato, fatica, profondità, silenzi: per loro, quasi sempre, tutto si azzera di fronte al servizio che sono chiamati
a compiere. Uomini e donne. Mi auguro che alcune di queste loro sensazioni possano con leggerezza arrivare anche a voi”

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Luigi Sauro è un giovane e creativo fotografo di Ancona, dove opera nel suo studio fotografico.È specializzato in servizi fotografici matrimoniali; associato all’esclusiva Wedding Photojournalist Association, l’organizzazione che unisce
e riconosce i più bravi fotografi matrimonialisti di tutto il mondo. Matrimoni e non solo; importante il lavoro realizzato per AnconAmbiente, unico nel suo genere.

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