La Bella Principessa di Leonardo

Sgarbi presenta "La Bella Principessa" di Leonardo da Vinci

Il ‘Ritratto della Bella Principessa’, dipinto su pergamena e raffigurante
(secondo gli esperti) Bianca Sforza, attribuito al genio di Leonardo da Vinci,
sarà esposta per la prima volta in Italia dal 6 dicembre al 18 gennaio a Urbino,
nel Salone del Trono di Palazzo Ducale.
Di proprietà del collezionista canadese Peter Silverman, l’opera è stata analizzata approfonditamente da studiosi quali Martin Kemp  e Pascal Cotte, che l’hanno ricondotta all’ambiente leonardesco e in particolare proprio alla mano del maestro.

”L‘opera è sicuramente autentica”, ha detto Vittorio Sgarbi, assessore alla rivoluzione
e alla cultura del comune di Urbino.
Se l’attribuzione rimane incerta, in quanto non ci sono firme e documenti in merito,
la bellissima miniatura (33 per 24 centimetri di grandezza) è nelle stesse condizioni
della gran parte di opere esposte nei musei, ha sottolineato il critico, intenzionato
a far tornare Urbino, ”citta’ ideale e universale, la vera capitale delle Marche
e della Rinascenza
”. E’ solo l’occhio allenato dell’esperto in definitiva, ha spiegato Sgarbi, a poter affermare l’autografia di un capolavoro. Le recenti attribuzioni a Leonardo,
ha aggiunto, riguardano opere che hanno molti meno punti in comune con la bottega
del maestro rinascimentale rispetto a questa pergamena.
Una diffidenza di parte del mondo scientifico (”mentre storici dell’arte come Claudio Strinati e Mina Gregori concordano sull’attribuzione”) che, a detta di Sgarbi, avrebbe determinato una presa di distanza del romano Palazzo Braschi, dove inizialmente avrebbe dovuto svolgersi la mostra (che in seconda battuta sarà a Milano dal 23 aprile al 31 ottobre
in concomitanza con l’Expo, in una sede ancora da definire). Le autorità capitoline,
ha detto l’assessore urbinate, prima di inserire l’esposizione tra quelle in calendario
del Museo di Roma, volevano sottoporre l’opera al vaglio di una commissione di esperti, fatto che non ha trovato d’accordo Silverman.
Il quale ha poi trasferito la Bella Principessa in un caveau di Ginevra, dove è stata visionata da un team del Centro di Conservazione e Restauro della Venaria Reale
di Torino.

Saltata l’ipotesi di una mostra nella capitale, Sgarbi è stato ben felice di poter portare
il dipinto ”nel Palazzo Ducale più famoso del mondo”, dove sarà ammirato per la prima volta dal vasto pubblico di appassionati d’arte. La splendida miniatura, asportata
dal volume del ‘400 conosciuto come ‘La Sforziade’ (ora a Varsavia), è stata eseguita, come si legge nel dossier tecnico dei restauratori della Venaria, ”con pastelli colorati
e inchiostro su un foglio di pergamena. Rimossa dal manoscritto, fu collocata per mezzo
di un adesivo su un supporto in legno di quercia”. L’opera, nel complesso, ”mostra uno stato di conservazione mediocre”, mentre la datazione al carbonio 14 sarebbe riferibile
tra il 1450 e il 1650. ”Squisitamente leonardesca”, ha aggiunto Sgarbi che l’ha visto
a Parigi, la Bella Principessa ha in comune con altri capolavori del genio vinciano la postura a medaglia (come nella Belle Ferroniere), la spazialità, il volume, l’incarnato,
l’aura che circonda la testa, un’analisi che non lascerebbe dubbi sulla mano che l’ha creata. Del resto, Silverman l’ha acquistata per soli 19.000 dollari dalla vedova del pittore
e restauratore Giannino Marchig (che l’aveva attribuita a Ghirlandaio), ma in seguito
alle expertise cui l’ha sottoposta in questi ultimi anni (in particolare quella di Kemp),
ne ha visto salire vertiginosamente il valore fino a 130 milioni di sterline. Scripta Maneant, l’editrice bolognese organizzatrice dell’evento, è riuscita però a basare i valori assicurativi su una stima più contenuta (100 milioni di sterline). L’opera sarà allestita nel Salone
del Trono di Palazzo Ducale, protetta dalla cassa in climabox in cui era custodita
‘La ragazza con l’orecchino di perla’ di Vermeer in occasione della mostra di Bologna. Intorno ci saranno i materiali, le documentazioni sull’opera e sul paesaggio.

Fonte ANSA

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La Guerra dei nostri Nonni

Martedì 9 dicembre alle ore 21.00 al Teatro delle Muse di Ancona  spazio musecaffé, il giornalista e scrittore Aldo Cazzullo presenta il libro La guerra dei nostri nonni
edito da Strade Blu – Mondadori.
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L’iniziativa si inserisce nel ciclo di presentazione di libri inaugurata al musecaffé
dalla libreria delle Muse.
Il testo narra la Prima guerra mondiale attraverso lo sguardo e le storie
di quanti l’hanno vissuta in prima persona.

Durante la serata l’attore Andrea Caimmi leggerà brani tratti dal libro
e l’Ensemble Coro “G.Spontini” Moie di Maiolati diretto da M°Michele Quagliani eseguirà alcuni brani musicali.

Sarà presente Fulvia Tombolini che testimonierà come suo nonno, Sante Tombolini, sopravvisse alla battaglia di Caporetto. La storia di questo grande marchigiano è narrata nel libro. Sante fondò nel 1921 un’impresa vinicola i cui vini, oggi, sono esportati in tutto il mondo da Fulvia Tombolini.
A fine serata si brinderà con Fulvia Tombolini, che è anche sponsor dell’iniziativa.

Aldo Cazzullo, oltre a essere una delle firme più prestigiose del “Corriere della Sera”,
è anche uno straordinario narratore di storie. E per questo libro ne ha scovate di epiche
e commoventi, scegliendo di raccontare la Prima guerra mondiale attraverso i ricordi
dei pochi sopravvissuti. Nelle piazze di ogni paese, anche del più sperduto e disabitato, c’è sempre una lapide a ricordare una generazione, i ragazzi nati alla fine dell’Ottocento, spazzata via dalla guerra al fronte. Una guerra che combatterono poveri fanti nelle trincee, mal armati, denutriti e impreparati a vivere condizioni estreme. E in pochi ebbero la fortuna di tornare per raccontarla. A cento anni dall’inizio di quell’ecatombe, Cazzullo ricorda
e riannoda i fili di un passato lontano.

Aldo Cazzullo (Alba, 1966),
giornalista e scrittore italiano, editorialista del “Corriere della Sera”. Si è occupato
di politica italiana ma anche internazionale, seguendo come inviato le elezioni di Bush, Obama, Erdogan, Zapatero e Sarkozy, le Olimpiadi di Atene e Pechino e i Mondiali
di calcio in Giappone, Germania e Brasile. È autore di numerosi saggi, tra cui,
editi da Mondadori, I ragazzi di Via Po, Il mistero di Torino, Il caso Sofri, I grandi vecchi, Outlet Italia, L’Italia de noantri, Viva l’Italia! L’Italia s’è ridesta e Basta Piangere!
Da Viva l’Italia è stato tratto uno spettacolo teatrale che ha avuto rappresentazioni
e repliche in tutte le maggiori città italiane. Per lo stesso libro Cazzullo è stato insignito
del premio nazionale ANPI Renato Benedetto Fabrizi 2011. Nel 2011 ha pubblicato
il suo primo romanzo, La mia anima è ovunque tu sia.

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ZODIAC

Ideogrammi zodiacali, espressione di un visual giovane e attuale.

Oggi proponiamo il segno dell’ARIETE e il suo mito.

Segni

 

L’ARIETE è la prima delle costellazioni zodiacali.
L’ideogramma del Segno è una testa di caprone, simbolo dell’istinto vitale.
Il Mito legato ad Ariete richiama la leggenda degli Argonauti e di Giasone
alla conquista del mitico Vello d’Oro.
Un Ariete alato dal prezioso vello d’oro, venne mandato sulla terra da Nefele per salvare
i figli Frisso ed Elle. Nefele fu moglie di Atamante, re di Boezia e da questo ripudiata
per sposare Ino, donna senza scrupoli, che architettò un piano ingegnoso per far uccidere i figli di Atamante in favore dei propri.
Salvatisi, nella precipitosa fuga in groppa all’animale, Elle si addormentò e cadde.
Sia pur straziato, Frisso terminata la fuga sacrificò allora l’animale a Zeus,
che però non salverà il giovane, facendolo precipitare da un dirupo.
Zeus mise quindi un feroce drago come custode del prezioso vello e L’Oracolo di Delfi sentenziò che bisognava riportare in Beozia, sia la salma di Frisso che il Vello d’oro.
Partì in seguito l’eroe Giasone e i suoi cinquanta argonauti, che solo grazie alla Maga Medea, di lui follemente innamorata, riuscirono a sconfiggere il drago e a riportare
in Tessaglia, patria di Frisso, il magico vello.
Ritornato in patria, Giasone abbandonò Medea provocandone l’ira e una terribile vendetta.


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Il tempo della fine – Gabriele Via

Il tempo della fine

Raramente troveremo la stupidità degli antichi
piuttosto è invece frequente comprendere
che quel certo dato non lo riuscivamo a capire
alla comprensione ci impediva la mancanza
di qualche altro dato; la mala interpretazione
di un segno, l’inavvertenza circa un nesso…
Non sempre la storia ha un manuale delle istruzioni.
e da Talete ad oggi pomeriggio all’ora del tè
la vera sfida contro l’ignoto sta là.

Dunque mi sono ritrovato a pensare
che forse i giorni non hanno numero
e il nostro numerarli
entro ogni atto della nostra vita
trascurando invece il loro più preciso significato
ci ha condotti alla rovina.

Fissiamo i giorni rigidi su una griglia euclidea
e poi vogliamo farci star dentro la vita
ogni momento della nostra vita.

Eppure il grano fu mietuto con una luna
una volta e addirittura con un’altra, secondo
che l’inverno sia andato in un modo o nell’altro.

Se pure la natura stessa ci mostri
una sua ragionevolezza
e un buon senso tanto esteso,
noi siamo stati capaci di studiare mille cose
ma non ci siamo accorti che ogni cosa
l’abbiamo fatta cadere dentro la nostra griglia
e in quella griglia, poco a poco,
lucertole, farfalle, terreni e noi stessi,
noi tutti, ieri oggi e domani,
ci stiamo bruciando tutta la vita. Continua a leggere

Ritratti di città

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Ancona, ancora. (parte III)

In fondo, Silicati rende evidente con la sua arte e la sua tecnica quanto nei “ritratti di città” il paesaggio in senso classico c’entri poi poco. Nel senso che l’identità di una città,
il suo odore e il suo umore, sono virtù che non si prestano ad essere metaforizzate
in campagne e linee d’orizzonte. Le città possiedono una duplice natura di esseri antichi
in profonda e continua trasformazione, quanto quella di avere delle solide strutture,
di essere contenitori di segni indelebili.
Da qui il Passetto, il Teatro delle muse, il porto, ma anche quelle novità del paesaggio cittadino che appartengono più concretamente e veracemente alla realtà.
Non è una questione di bellezza, e questo Silicati lo ha capito da subito.
Non ha voluto fare delle immagini piacevoli, delle “rappresentazioni”, ma si è immerso
in un viaggio immaginario e allucinato dentro un’idea di città che l’ossessionava,
che lo affascinava. La sua Ancona è bella e drammatica, giocata su filo della raffinatezza e del gioco tra le sovrapposizioni, tra i segni, tra i cromatismi che gli appartengono anche se in precedenza quasi sempre avvolti attorno al corpo umano.
(fine terza parte)
Valerio Dehò
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“Nelle sue rappresentazioni artistiche si ritrova Ancona, con i suoi simboli civili e mercantili alla ribalta tra i cromatismi di cui l’artista li circonda. L’opera di Silicati rende emozionante
e dà abbrivio al pensiero progettuale che riguarda la crescita del tessuto economico provinciale: il mare, il porto, gli scorci metafisici del Passetto, non ci parlano solo
di Pesca o Turismo, ma ci restituiscono elemento identitari, la cifra della nostra tradizione.
La valorizzazione delle risorse produttive legate al mare (e alla terra cui esso è proteso) potrebbe fornire la risposta su misura per la ripresa economica cui si sta faticosamente tendendo. Se a questo si aggiunge anche l’attrattiva culturale della zona sulla quale
la nostra area portuale si sviluppa e la presenza di volumi e contenitori di grandissimo pregio storico e artistico si palesa un’altra importante direttrice su cui impostare la ripresa, un elemento in più per re-immaginare l’oggi e il domani della città.”
13-12-2010
Rodolfo Giampieri, Presidente Camera di Commercio di Ancona

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“Biblioteca” – colloquio con Alessandro Aiardi

colloquio con Alessandro Aiardi – Ancona, dicembre 2003
Tratto da nostro lunedì
n. 3 – Libri

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Di che patrimonio dispone la biblioteca in termini di dotazione e per quello che
si riferisce, ad esempio, alle sue cinquecentine, ai manoscritti, agli incunaboli?
Il registro di ingresso che per quest’anno va a chiudersi tocca, stamani 18 dicembre,
il numero 152173, tanti sono i documenti inventariati. Se ne possono aggiungere
circa altri 18000, pesante fardello di un “vecchio fondo” che ancora non si è riusciti
ad esplorare sistematicamente. Qualche sporadico intervento su tale raccolta ha fatto crescere di 200 il numero delle cinquecentine, di due quello degli incunaboli, per tacere
del faldone che conteneva le locandine e i manifesti del Teatro delle Muse.
Nei manoscritti c’è la storia di Ancona: qualche nome? Bernabei, Alfeo, Leoni,
Pasquale Bedetti, Carlo Rinaldini, Camillo Albertini, Leone Levi, i manoscritti musicali
della collezione Nappi, il faldone dei documenti della “Settimana Rossa”…

Quale il suo ruolo effettivo in una città come Ancona che, rammentando
quel che ne scriveva Mario Puccini nel ’28 (“Ma Ancona non mi pare una città
che ami il libro, intellettuale. […] gli uomini che avvicinai mi apparvero
o distratti dai propri commerci, o affatto lontani dal desiderio di apprendere.”), sembra assai poco incline alla lettura e alla sosta per dilettarsi o ricercare?
Occorre che speri -avendo peraltro dei dati confortanti in proposito- che la frase
del Puccini abbia perduto aderenza con la realtà attuale. L’antica natura marinara
e mercantile della città, pur così fortemente radicata, si è andata giocoforza adeguando alle mutate esigenze imposte dalla società dei media. Il bisogno di informazione è avvertito anche qui da noi come intenso e diffuso. Gli indicatori dei dati inerenti l’uso pubblico
sono tutti quanti in crescita; molto si fa sui lettori di domani con iniziative sia di promozione che di approfondimento promosse e gestite dalla Biblioteca dei Ragazzi e dalle due sedi decentrate di Collemarino e di Brecce Bianche. Sono strumenti poderosi per la captazione dell’utenza del prossimo futuro. Si può anche far molto proponendo la pubblica lettura
fuori dalla sede di istituto: Libri da mare, che si tiene in estate, ne è un esempio;
un altro, di elevata rilevanza sociale, è il servizio di prestito librario curato dalle colleghe della Biblioteca dei Ragazzi e attivato, con l’apporto delle Patronesse,
all’interno dell’Ospedale Salesi.

Pensi che la città si accorga di avere una biblioteca civica?
Che fatica, caro Francesco! Che fatica! Noi, dico io e i miei colleghi, ce la mettiamo tutta non solo perché la città si accorga di avere una biblioteca civica, ma perché Ancona comprenda che la Biblioteca è un suo patrimonio e un suo strumento di crescita.
Non ti nascondo il cruccio che mi strinse al cuore quando, durante un soggiorno ai tempi del concorso, che poi vinsi (eravamo fra l’aprile e il giugno del 1994) qualcuno in albergo, al ristorante, in giro, mi chiedeva cosa mai stessi facendo in Ancona, e quando rispondevo “missione biblioteca”, mi si parava davanti un tanto di spalancar d’occhi,
o un atteggiamento interrogativo, come a dire, “mah! questo dev’essere un po’ tocco;
cosa sarà mai quello di cui mi parla?” Ma io mi ero ormai innamorato della dolce Ancona,
e non mi lasciai scoraggiare.

Quale la vita professionale e personale di un bibliotecario non marchigiano,
come te toscano, in questo che dovrebbe essere un capoluogo e spesso rivela, invece, le sua profonde ferite provinciali?
Guarda che io sono, sì, toscano, ma toscano di provincia, non fiorentino;
e che il quadrilatero della mia città ha una fortezza con il ponte levatoio rivolto verso l’urbe, non verso il contado o contro i nemici! e poi non è che il “Granducato” rappresenti
più quella situazione idilliaca, mista di medietas e illuminato compromesso,
che ha costituito il sogno dell’approdo di qualche mio antico compagno di studi di origine meridionale. Vedi, Francesco, una volta lasciata la residenza stabile in patria,
non si trova più in essa riferimento fuor che per gli affetti, non vi si amano più come prima volti di uomini, prospettive di piazze o squarci di paesaggio. Se mi chiedessero
di terminare il servizio a Pistoia, non ti nego che mi prenderebbe un certo sgomento. Costituirebbe per me uno sradicamento professionale, ma anche di affetti e di sentimenti civici. Insomma, Ancona, capitale di provincia, regge più che onorevolmente il confronto con la provincia media toscana.

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