Ancona, un viaggio sentimentale

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Ancona, ancora. (ultima parte)

Il segno disfatto e irregolare dava ai corpi una classicità piena di omissioni.
Era una traccia evidente nei ricami d’intensità rosse, verdi, gialle e blu
ma aumentava l’idea di una temporalità rinchiusa nella pittura. Silicati dà vita
ad un feeling continuo tra la materia dell’arte e la composizione.
Il tempo, le varie esecuzioni, il montaggio rientrano in una poetica che esalta
sia la presa diretta sulla realtà, l’impressione è che sia la ricostruzione di un universo personale. Questo lavoro sulla città, sulla non completamente sua città, gli ha consentito di sviluppare la sua pittura ridando un senso ai molteplici significanti architettonici,
ai luoghi simbolo che diventano elementi di un viaggio sentimentale. Legato all’analiticità
di una tradizione europea post espressionista da un lato e ad una evoluzione del pattern painting, le sue opere vengono fuori da una sintesi tra intuizione e scrupolosa e attenta ri/composizione. La sua tendenza al non monumentale, affiancata alla memoria storica
del giapponismo, lo ha condotto a legare in una scelta tecnica e stilistica eredità sospese tra oriente e occidente, Schiele e Ukiyo-e. E allora si comprende come l’occasione
di realizzare il ritratto di una città come Ancona sia stata perfetta per la sua sensibilità, perfetta anche per il fatto che la città dorica è essa stessa una cerniera tra le due sponde dell’Adriatico, la metafora del rispecchiamento tra Est ed Ovest.

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Ed è anche interessante che Andrea Silicati non abbia saturato i quadri sovraccaricando la composizione, ma sia rimasto alla sua scelta poetica di liberare il bianco per dare respiro alle opere, per riprendere quella sensazione che coglie
chi si affaccia al mare, al suo infinto respiro.
Anche questa non è una semplice coincidenza, ma qualcosa che fa di questa serie di lavori sulla città una visione
che unisce l’effettualità delle “cartoline”, delle memorabilia, con una materia viva e aerea. L’artista non chiude le interpretazioni, non costringe lo spettatore alla passività,
ma lo invita a sognare, a creare un proprio sogno della città, a rileggere i segni
che la storia le ha lasciato addosso, come un vestito o come un tessuto
che non nasconde ma rivela.
Valerio Dehò

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