Francesco Scarabicchi
tratto da nostro lunedì numero 4 – prima serie – scataglini
6.XI.2000
Ho conosciuto Franco Scataglini nel marzo del 1977 subito dopo l’uscita del suo secondo libro, So’ rimaso la spina, che Carlo Antognini aveva pubblicato, poco meno di un mese prima, nelle Edizioni de L’Astrogallo. Ci incontrammo nel suo studio di allora, in via Pizzecolli 11, un primo piano di stanze con grandi finestre dove scriveva, dipingeva, riceveva. Parlammo a lungo in quel pomeriggio di primavera, a lungo ci scrutammo ed interrogammo. Da tanto avevamo in animo di conoscerci senza deciderci mai a farlo.
Lo cercai io dopo aver letto, di quel libro terribile e ferito, i versi di “Vita e scritura” e, sopratuttto, di quello che ritengo uno dei vertici del suo percorso di poeta, “Carcere demolito”, stemma tragico d’autore che segna una fra le più alte voci del Novecento.
A quel primo incontro ne seguirono altri, camminando quasi sempre verso San Cirico, lentamente. Iniziò lungo quelle strade il colloquio che avrebbe solcato circa diciotto anni della nostra amicizia, l’alta tensione di un’ idea di vita e di poesia che avrebbero trovato,
di lì a poco, la cifra nel sostantivo della residenza. Con Franco ragionavamo su quella sua intuizione che serbava in sé da anni, forse da sempre, cresciuta come una pianta, in gran silenzio, nei recinti di una solitudine che cominciava a sciogliersi, a scalfirsi.
Qual’era il senso di vivere, di pensare, di scrivere qui, in questa città alienata come ogni altro luogo del mondo eppure “con un’ombra di beatitudine immemore”? Questa,
in sintesi, la domanda che egli poneva alle ragioni stesse dell’esistere e dello scrivere.
Su quel costone di roccia dura prese avvio il suo magistero. Aver coscienza del proprio presente, del proprio esclusivo passaggio, testimoniarsi nell’assolutezza di una parola estrema ed essenziale, grumo di esperienza e di senso, senza infingimenti o maschere, radicalizzando verticalmente la ricerca, scegliendo il “qui e ora” di ogni battito, di ogni respiro, affrontando i nodi del mondo dentro le mura della propria città, sotto la sua luce, lungo il gelo delle sue ombre, pronunciando il nome delle cose. La sera in cui si inaugurò, a Palazzo Bosdari, nel settembre del ‘79, la mostra antologica che il Comune di Ancona volle dedicare al lavoro di Valeriano Trubbiani, conoscemmo Massimo Raffaeli, ventiduenne studente di lettere a Bologna ma residente a Chiaravalle e già collaboratore del quotidiano “il manifesto”. Fu quasi una sorta di esclusivo “sequestro” che operammo l’uno dell’altro a un tavolo dell’osteria di via Gramsci dove ci sedemmo a cena. Credo che Residenza (come primo progetto, come “sogno di una cosa”, come avvio del pensare
di ognuno, come necessità) sia idealmente nata là per poi venir decisa qualche mese dopo e inaugurarsi radiofonicamente il 12 marzo del 1980. L’ultimo giorno di quel mese Raffaeli portò ad Ancona Gianni D’Elia che diverrà, insieme con Katia Migliori, sebbene
lei da fuori, un’altra anima di Residenza, di quel tempo di fervore, di improvvisazione
e di idee che a noi sembrò eterno e che durò, invece, i pochi mesi dei due primi cicli
di trasmissioni Rai, fino al 17 dicembre di quell’anno, quando la redazione fu costretta
a sciogliersi e restò solo Scataglini a seguitarne la terza ed ultima parte. Oggi il volume
a cura di Mariano Guzzini, che di quella storia e di quell’epoca è l’esito integrale (insieme con il CD che fornisce una scelta di otto puntate), è un’occasione per comprendere, nell’assoluta asciuttezza dei fatti, cosa siamo stati e quale fosse l’idea di letteratura
e di poesia che abitava, nel bruciare delle passioni, il corpo e nella mente di amici che sapevano d’essere vivi in un tempo e in un luogo della storia con tutta la loro aristocratica umiltà, fedeli ai propri maestri e alla propria vocazione, soli oggi dopo l’addio di Scataglini (“dulceza e nostalgia/de nave senza scia”) eppure convinti della verità del proprio insistere nella ripetuta domanda della lingua.
foto di Lucio Felici / 25 luglio 1980
in occasione del cinquantesimo compleanno di Franco Scataglini
da sx Gianni D’Elia, Katia Migliori, Franco Scataglini,
Francesco Scarabicchi e Massimo Raffaeli
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