di Antonella Anedda, tratto da
nostro lunedì n.1 – Scene – prima serie
Non sono molte le cose che nomino in poesia:
stanno sotto il palato, attente, coscienti solo del caldo
ignare della lingua.
Se ascoltano, sentono il moto, l’onda di un’eco
che porta rosse lettere, destini, e un turbine di voci
smarrite – come sempre – in ciò che è cupo e cavo.
Dunque dico: alberi – anzi – platani
attirati dall’acqua e sostenuti ai bordi dalle pietre.
Questo sì è difficile:
cantarne piano il miracolo
quel peso nella luce, quell’ombra
che s’incrocia col tempo e divampa sull’odore del prato.