Paolo Volponi e Urbino

In occasione dell’uscita  nostro lunedì – numero 2
Paolo Volponi
e Urbino / 23 maggio Ridotto Teatro Sanzio – sala del maniscalco

Quella di oggi è una società con pochi desideri e molti bisogni di frequente confusi tra loro. Il bisogno è qualcosa che preme per la sua urgenza e necessità di un appagamento immediato, ed è legato alla velocità e a una precisa mancanza. Spesso, i bisogni sono indotti, dalla pubblicità, o dalle consuetudini che regolano funzioni sociali.
Queste foto nascono dal desiderio, che è la tensione di dare una forma alle cose, alla realtà, così da in-formare, cioè, ricevere forma dal desiderio. (io sono anche quello che desidero) Il desiderio indica l’attesa, l’attesa del bene che siamo noi, come persone, come uomini e donne. Mi hanno raccontato di recente, che una signora, da bambina voleva suonare il pianoforte. Per tanti motivi non riuscirà ad andare a scuola di piano. Poi il lavoro sarà un altro impedimento al suo sogno. All’età di 60 anni compra un pianoforte e va a scuola. Si desidera di non morire, ma è impossibile dire “ho bisogno di non morire”.
L’aggettivo italiano buono, si traduce dal greco “agathòn” che vuol dire “ciò che    merita stima” in questo caso, il paesaggio del Montefeltro, Non si sogna la violenza o il male, altrimenti si dice che è un incubo. Non si può parlare di desiderio, senza parlare del suo termine di tendenza, il bene. Quindi ciò che è buono, che come sapete per la tradizione socratica. coincide anche con il bello. Consideriamo ora l’etimologia della parola. Nell’antico latino, “de-siderare” significa osservare  le stelle “sidera=stelle” con attenzione: “la particella “de” ha infatti valore intensivo”. Si allude con ciò a qualcosa di non determinato, che però attrae lo sguardo al di sopra delle cose che sono a disposizione dell’esperienza. Qui abbiamo i cieli come uno degli oggetti del desiderio, il cielo sta al di sopra della terra, in alto, in relazione con essa, non può esistere un paesaggio così come quello che vedete, senza un cielo che ne definisce le zone, ora in luce o in ombra.
In un certo senso non si può parlare di paesaggio senza citare il suo cielo.
Ogni foto è il prodotto di un tempo, spesso piuttosto lungo. Ogni foto ha dietro una persona invisibile, ma per me presente  come ricordo o affetto, sentimenti che in un certo modo hanno acceso il fare e l’andare. Quindi il mio desiderio, è anche il desiderio di un’ altro, e forse spero, lo sarà di un’ altro, di un’ altro ancora e così via. Se un tempo lungo ha prodotto queste foto, attraverso l’attesa della luce del mattino o della sera: le stagioni, la conformazione delle nuvole, la qualità della purezza dell’aria o di quel particolare che appartiene alla storia, illuminato in un certo modo. L’attimo dello scatto invece, è una frazione di secondo,  una breve scintilla che ferma un insieme di fortunate coincidenze, è questo brevissimo tempo, che spesso perdiamo, che cerca il dialogo con l’eternità.

Giampiero Bianchi

 

 

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