Sabato con pioggia
Leopardi era una collina. La indicava mio nonno nel paesaggio, individuandola fra altri villaggi con i monti sullo sfondo e una riga di mare di lato.
“Lo vedi Loreto?”
“Quello con la cupola?”
“Più a destra c’è Recanati. Lì è nato Leopardi, aveva la gobba, ma è stato il più grande poeta d’Italia”.
Un coetaneo da Roma venne in visita dai parenti. Facemmo amicizia. Lunghe passeggiate per mostrargli le meraviglie di Osimo.
Lui, gentile, condivideva il mio entusiasmo. Imitai mio nonno.
“Lì c’è la casa del più grande poeta d’Italia;era gobbo però”.
“Lo so. Era innamorato di Silvia. A lei faceva pena.”
All’inizio degli anni cinquanta di Leopardi sapevo questo: poeta di Recanati innamorato senza speranze perché aveva la gobba.
Non era il mio eroe. Il mio eroe era Bartali.
Venne a correre per le feste patronali. Mio nonno mi portò al campo sportivo. Bartali fece più gare in pista con altri ciclisti. Vinse sempre. Risalimmo al centro. Il campione era in un bar attorniato dagli organizzatori. Mio nonno conosceva tutti. Si avvicinò:
“Ecco un suo ammiratore”.
Bartali mi sollevò in braccio con un mezzo sorriso. Indossava la maglia gialla sudata. Emanava un odore di fatica aspro e invadente. Sembrava molto meno eroico dell’immagine nelle figurine incollate sull’album la domenica pomeriggio, dopo la fine del cinema e prima della cena, al suono dai pedali della Singer di mia madre.
La luce del lampadario a sfera diffondeva un giallino mesto su tutto.
Quella cupa fine del giorno era una mia personale sfortuna? No, la fine di tutte le feste è così. La delusione per Bartali? Regolare anche quella. Il meglio della vita è l’attesa.
Il viaggio, non la meta. La fanciullezza, non l’età adulta. Il sabato, non la domenica.
Lo spiegò anni dopo, con una voce di sigarette e un filo di cantilenante snobismo, la professoressa di lettere.
Una contessa. Ci faceva imparare tutto a memoria ignorando le nostre timide proteste. Eravamo tutti timidi all’epoca. Ci fece del bene però, la contessa.
Il sabato del villaggio è stato il mio primo sguardo disincantato sul mondo. Un’illuminazione. Negli anni ascolterò usarne frammenti per infiorare discorsi banali o come insulsa spiritosaggine: godi fanciullo mio, altro dirti non vo’, parca mensa.
L’autorevolezza di quei versi resisterà a tutto.
Nelle Marche si fanno due pellegrinaggi. Uno a Loreto per la Santa Casa.
L’altro a Recanati, per visitare la dimora del poeta. A Loreto si andò a piedi.
L’autobus lo prendemmo per il ritorno. Ho più di una foto del pellegrinaggio guidato da un sacerdote che, nella piazza piena dei malati di un treno bianco, invitò a fumare qualche sigaretta per proteggerci dai microbi (sic).
A Recanati, invece, ci portò un autobus traballante affittato dalla scuola.
Attraversammo distratti la biblioteca del poeta con la nausea non ancora smaltita, impegnati a decidere la strada più breve per tornarcene a casa a piedi incuranti della probabile nota sul registro di classe. Visiterò altre volte Recanati.
Una, la più imprevista e memorabile, invitato lì per scrivere un racconto.
Dicembre del 1997. Dall’albergo dove sono alloggiato vedo le luminarie natalizie del corso. Un gatto obeso color miele mi guarda col suo unico occhio mentre faccio colazione.
Piove fitto. Munito d’ombrello, vado. Per due giorni, venerdì 12 e sabato 13, m’insinuo in ogni angolo della città. Sosto più volte nei pressi di Palazzo Leopardi. Immagino, dietro le finestre, la madre di Giacomo in stivali mentre misura con un cerchietto le uova dei contadini; pretende di essere presente quando il parroco confessa i figli; discute sulle spese eccessive per la carrozza di Monaldo.
Appunti presi consultando biografie alla ricerca di idee. Meglio cercare il tema qui, all’origine dei versi che ancora ricordo a memoria, nella piazzuola dove i fanciulli giocavano sotto lo sguardo del poeta. Felici senza saperlo. In discesa, con le indicazioni di un bar e di una pizzeria, sfiorata dalle auto sotto la pioggia battente, sembra un luogo di passaggio da attraversare in fretta.
Come la felicità dell’infanzia e i sabati della vita?
Le gocce s’insinuano sotto l’impermeabile. Torno in albergo.
Il testo – una storia inventata mescolata alla cronaca di quelle due giornate – fu pubblicato in un’antologia curata da Daniele Garbuglia, Recanati, la città raccontata, edita dal comune in occasione del Bicentenario della nascita di Giacomo Leopardi, nel 1998.
Gilberto Severini