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Un segreto inconfessabile
Dopo Paolo Marasca, abbiamo deciso di dare voce anche ad un altro giovane scrittore e giornalista anconetano; stiamo parlando di Stefano Novelli.
Di seguito pubblichiamo uno dei suoi racconti:
Un segreto inconfessabile
Quasi non ci credo. Ci conosciamo da quasi vent’anni, eppure quando Marco arriva a casa mia stasera, totalmente sbronzo e fuori di testa, e mi abbraccia dicendomi che Irene lo ha lasciato, io non so che rispondergli. Ha la giacca sporca di vino che si è versato addosso e le labbra tutte viola scuro. Avrà bevuto non so quanti bicchieri, e chissà da quante ore.
Lo guardo e gli dico: “Veramente? ma come?“. Non so come mi è venuta questa uscita. Mi sarei voluto vedere allo specchio. Non sarò stato molto credibile, persino per un ubriaco. In realtà immaginavo da mesi questa conclusione. Nessun fulmine a ciel sereno.
Irene si è laureata e ha trovato lavoro a Bologna, e vuole andare avanti con la sua vita. A parte questo, credo che Marco e la sua quotidianità casalinga tutta ubriacature e serie tv, inizino a starle stretti. Lui, dal canto suo, non vorrebbe altro che lei. Da solo non sa starci. E’ una di quelle persone che trova la propria tranquillità solo in un rapporto di coppia. Lavoro, casa, e Irene. Chissà se i genitori di Marco lo sanno. Ora che si è lasciato, sarà dura.
Io sono stato tanto da solo ultimamente, e ci sono stato anche bene. Continua a leggere
Ritorno a Casarsa
Gianni D’elia
– Qui, Pasolini è cominciato da poco…
Diceva così la tassista, guidando la sua Mercedes fino al cimitero.
Fuggivo da una rissa verbale, da un giudizio cattivo sul mio fare, un invito di qualcuno che, amico, ma brutale, aveva risposto alla domanda sul mio libro:
– Il peggiore che hai scritto. Insistendo, poi, e credendo di scusarsi: – Non è un libro estetico.
Estetico? Come si dice: – Non rientra nel mio gusto del bello.
Filava la tassista, intanto, lungo la striscia del paese di Casarsa, con la casa del poeta, a sinistra, là, senza nessuna targa, d’un rosa rossiccio o cosa, due vetrine al pianoterra, vuota, dentro.
– Ci fanno un po’ di mostre…
Invece di andare a scuola a parlare della mia poesia ai vivi, andavo a ritrovare il poeta più poeta, il morto più vivo che conosca, dopo Giacomo Leopardi.
Il sole, tra le nuvole, più alto, come in Friuli mi sono sempre parse, accendeva una scena da dopo temporale, tra vigne e casette geometrili, ville e villette col giardino, cortili nuovo di hotel, o cancelli, con dietro vecchie corti, acacie, pioppi, qualche misera catapecchia contadina disabitata. Continua a leggere
Sbarco ad Ancona
Sandro Penna
Dalla nube di polvere di carbone
mi saluta un sorriso tutto bianco.
Ma l’angelo di legno della barca
guarda gli orinatoi tristi e odorosi
improvvisati agli angoli – rivali
o amici cari ai cocomeri rossi.
Amici miei gli orinatoi… Ma io
non tendo forse al monte dove trovo
– lontano il mare e l’odore perverso –
l’adolescente odoroso di fichi?
scarica il pdf del brano cliccando su questo link
Sbarco ad Ancona
Bollicine
Come ogni giovedi, un fantastico sfondo per voi:
Primo appuntamento con Paolo Marasca
Aspettando l’uscita del suo secondo romanzo, ambientato ai piedi e nello stomaco del monte Conero, abbiamo deciso di dedicare alcune puntate del nostro appuntamento del martedì Volti e luoghi a Paolo Marasca, scrittore anconetano.
Di seguito pubblichiamo un brano tratto proprio dal suo secondo romanzo:
– La natura ti ringrazia, – ripeteva Fausto all’alba – tu raccogli la merda che la gente sparge in giro e lei ringrazia.
Sarà, dicevo io, ma non riuscivo a immaginare come la natura potesse sentirci, da sotto tutta quella merda. Era come massaggiare qualcuno mentre indossa un piumino.
A quell’ora facevamo il giro della spiaggia: tra i sassi lisci e tondi raccoglievamo cicche, lattine di birra e tovaglioli, costumi lisi e bottiglie di aranciata. Pezzi di pizza mangiucchiata. Occhiali. Dalla parte del mare, invece, alghe umide e bambole sventrate, tronchi da spezzettare e corde enormi provenienti da chissà che porto dei Balcani. Meduse. Attrezzi arrugginiti. Prima di portare il nostro raccolto di resti alla cava sedevamo sulla battigia uno accanto all’altro, togliendoci le scarpe antinfortunio che Enrico ci obbligava ad indossare. Fausto rollava una canna ed io chiudevo gli occhi, pensando che forse da ciechi si sarebbe sentito meglio il ringraziamento della natura. Sempre che ci fosse.
– Che fai preghi? – mi sfotteva. Continua a leggere
Carcere demolito
1
Come colpi d’aceta
sprofóndane tre mure
framezo ortighe scure
de sopra la breceta;
‘na fascia de cemento
d’indove el filspinato
se driza intorcinato
ie fa da sbaramento
e ‘n cancelo de legno
con lucheto e catena
(el verdeto e la pena
che se delma a congegno).
Co’ la demolizió
esta chioga quadrata
sortì come schiodata
da ‘na maledizió
de sbare e schiavardà,
d’aria fissa e de ronde,
de ore fate imonde
da la catività.
O raza de Caì,
adigatora al chiuso,
vedevi alzando el muso
le sòle ai secondì.
I look and move
Pattern e texture, col cuore
Lo scintillio
Umberto Fiori
Se penso ai libri che hanno influenzato la mia vita, la mia storia, il primo che mi viene in mente è un volumetto di poche pagine, un’edizione per ragazzi della Divina Commedia con le illustrazioni di Doré, che un amico di famiglia mi regalò per il mio decimo compleanno (1959). Quel regalo fu il primo contatto diretto (non scolastico, voglio dire) con la poesia, e mi inorgoglì come un’investitura.
Imparavo a memoria terzine e terzine, contemplavo per ore Caronte scarmigliato sulla sua piroga, Minosse con la corona in testa, la coda avvinghiata ai muscolacci da lottatore. Di lì a poco (avevo dodici anni) qualcun altro mi regalò gli “Ossi di seppia” e “Le occasioni” di Montale, nell’edizione dello “Specchio” Mondadori, che allora (primi anni ’60) era – anche graficamente – splendida. Tutto mi piaceva in quei libri: i vasti bianchi della pagina, lo spazio tra il titolo e il testo, i caratteri. Montale me l’aveva già fatto conoscere la mia insegnante di lettere delle scuole medie (una donna eccezionale che oltre a Omero e Catullo, Carducci e Pascoli, ci faceva leggere i poeti contemporanei, italiani e stranieri), ma per la prima volta lo avevo lì, per intero, tutto mio. Dei versi, ovviamente, capivo quel poco che può capire un ragazzino di quell’età: non c’erano note a soccorrermi, e nulla sapevo di Annetta-Arletta, di Boutroux e compagnia. A sedurmi – in quel corpo a corpo col testo – era la corrispondenza tra la materia austera e sensuale delle parole degli “Ossi” (il mio Montale preferito, ancora oggi) e il paesaggio del Levante ligure, nel quale ero cresciuto. In quelle pagine sentivo la presenza delle cose più familiari (agavi, scogli, greti, muretti, isole, mare) vibrare e farsi più vera in una lingua che era la mia lingua, ma come lievitata, radiante. Il suono e il ritmo di quella rappresentazione, di quella ri-presentazione del mondo, mi hanno formato da capo a piedi. Se ho un po’ di orecchio, è di lì che viene. Continua a leggere