Dal nostro lunedi – semestrale di scritture immagini e voci ideato e coordinato da Francesco Scarabicchi e Francesca Di Giorgio.
Prima serie Città numero cinque – marzo 2005
Una pittura malinconica. Il mio primo ricordo musicale: la banda che accompagnava il funerale di Marconi a Bologna. Confessione di un vetro rotto con la fionda. Nel rifugio, tutta la famiglia insieme che suonava concertini. Nella casa accanto c’era la Gestapo. Le foto sconce scoperte dall’amica di casa alla toilette. I pomeriggi al cinema per la luna di miele etc. Barcellona. Miró scrive tutto sul suo piccolo notes. Mi prende da parte – “vermeil” va bene solo per andare a Parigi a comperare i colori chez Lefebvre Foinet.
Arona. Lacustre amore mio. Luogo tracciato di domande e risposte. Il disegno è un’occupazione letteraria, la lettura è compito degli occhi. Un disegno deve dare tutte le informazioni su se stesso. La mano segue un suo percorso che si distacca da noi, mossa da un’energia che si trova nel segno stesso e che si rivolge, alla fine, contro l’autore. Si abbandona un disegno quando si pensa ad aggiungere la parola fine – la linea d’arrivo sono dei puntini di sospensione.
Sono a Ferrara, nell’Officina dei Mesi, fra monache in gruppo e il San Giorgio dipinto in volgare. I quadri si confondono se osservati da vicino, e la forma trova chiarezza da lontano. Ma se ne perde il palpito e il respiro.
Viaggiare & cancellare subito le impronte del viaggio dal disegno, passare dall’emozione alla forma, l’emozione del viaggio non conosce la forma. Viceversa, la forma conosce sempre l’emozione. Ossia, la forma definisce l’emozione e alla fine di quel che si vede ritorna l’emozione del viaggio.
Città del Messico. Il pilota avviava il motore del Dakota. Abiti di marca americana etc. Portavano tutti camicie a fiori, inzuppate del sudore dell’atterraggio in quel caldo umido. Campi di pelota desolati, hotel senza vetri. Chori scriveva il suo nome sulle strade, alle finestre, sui muri, sui taxi etc. Finalmente una farmacia. Apply freely with gentle massage. Occupiamo la suite sul ponte. Interno coloniale etc.
Los Angeles. La vegetazione invade la mia stanza. È troppo tardi per attraversare il parco di notte. “This is the house of the famous professor Einstein”. “Avete un appuntamento?”. “No, ma vorrei leggere le sue lettere. Mi dica, aveva il suo laboratorio in cantina o in soffitta?”. Ingrandita, la foto di Einstein che mostra la lingua; disegnerò la torre di Einstein e Einstein in barca sul lago…
New York. Il televisore dell’hotel non vuole funzionare. Le mie proteste sono inutili. Viene il tecnico, intasca la mancia e tutto è come prima. Passo la mattina a spostare l’antenna, teorizzandone la direzione sullo spiraglio tra un grattacielo e l’altro, ma poi salta tutto, l’immagine gira e si sdoppia e si sgrana in una trama di puntini informi (ne prendo delle fotografie), poi ritorno a disegnare sul tavolo da gioco che ho incastrato nel vano della veranda. La città cresce sulla propria distruzione, si deposita inesorabilmente sulle sue rovine etc. I radiatori dell’Algonquin si svegliano presto, all’alba, con suoni di campane…
I pomeriggi al cinema Orfeo etc. Il ping-pong etc. Componevo un numero a caso al telefono e mettevo la nona di Beethoven. In Accademia di Brera, a Milano, parlavamo solo di Apelle & Parmenide. Ci pensavamo in Atene.
Baghdad (aeroporto). Siamo sotto i ventilatori per il caldo torrido. L’imbarco è in piena notte. L’arabo della dogana con le matite colorate nel taschino confisca le macchine fotografiche.
Cori di donne velate, sedute per terra etc. Bombay. Su una stuoia a dormire nel patio. Qui nulla è infantile. Ogni luogo si esprime per segni esistenziali. Elefanta. La forza si capovolge, i muscoli non appaiono. L’emozione esprime un giudizio? Eppure la meccanica dovrei conoscerla, ma i dati che usiamo per capire sono una questione di cultura. Colori puri e castità ovunque. Ahmedabad. Nell’ashram di Gandhi ci togliamo le scarpe. Foto sul fiume, vento, pratiche di meditazione? Usciamo dalla città seguendo il Sabarmati. Piccoli viaggi in cammello. Al guado del fiume incrociamo un’altra carovana. La vita dei campi, strati su strati etc. Un’esperienza fisica e metafisica senza bagagli. Le mie nozze con l’India.
Zurigo. Grande incontro con gli Hodler. Radici montane della pittura, dispositivi simbolici, chiarezza del dolore, anatomie di Dürer etc. Qui l’erotismo sta nel corpo del quadro. Rothko ante litteram. Dove lo stile di un’epoca non è il vestito delle idee, ma la giustezza del loro meccanismo.
Copenhagen. Se il giorno è dei toscani, la notte è qui, nel nord. Quando l’aereo atterra, al freddo sole luccicano le stele di un cimitero. Le Foglie di Corelli etc. Penso a Thorvaldsen a Roma, con Mendelssohn fra temi antichi e moderni, ai Nazareni etc. New York. Capricci a New York. Le chimere della Public Library. Prélude. Sono venuto per disegnare. Come un credente che ogni giorno recita la stessa preghiera, io ripeto i riti del disegno. La sera, sul ponte di Brooklyn volano gabbiani, un primato dell’arte, il dominio della signoria sulla natura. Disegno, fortissimamente disegno. Minneapolis. I filantropi non pagano le tasse. Art Center. Vi si può incontrare Dante dipinto da Vasari. Considerazioni sulle virtù classiche etc. Pittura che riguarda l’uomo, l’uomo e il suo nudo, disegno che svela il corpo etc. Passato e futuro equidistanti. L’arte moderna ha imitato il primitivo e si è illusa di rompere la spirale di una decadenza, ma non vi ha fatto luce e l’orizzonte è rimasto buio. L’angelo Raffaello riapparirà un giorno, quante cose da chiedergli, quante nuove passioni nell’antico.
Recherche de paternité nei cartoni di Appiani (al Louvre), l’illusione di venire fecondato, la scimmia dei classici con noi, lo spirito dipinto.
Chichen Itza. La cosa più straordinaria è che questa città, dove tutto era segno dell’eterno, venne periodicamente abbandonata. Spazio immobile nel tempo che sembra trovare il suo opposto etc. La piramide appare come un rito degli astri, corpo metaforico, atto del concepire, riscatto alla morte, calendario di se stessa, culto, maternità, città, infinito etc., e la pelota come fonema supposto nel pieno di un gioco acustico. Vertigini ripetute al tramonto etc. En route. Tlacochalmaya e Ciulapam. Viaggio in treno fino a Mexico.
Rientro a Parigi, nella luce raccolta di rue Becquerel. Vorrei esser un pittore di cieli sereni, ma i primi contrasti vengono da lontano, ricordo colori e profili nelle storie d’infanzia. L’orso che balla etc. Ci si libera del passato nella conoscenza del passato. Disegno mani con il tratteggio dell’affresco, a punta di pennello, e resto a lungo in bottega a studiar l’esecuzione. (“Far pari all’antico il secol nostro”).
Sulla Acropoli una folla spinge e calpesta un sogno. Torneremo in una notte di luna piena. Atena piantò l’olivo sull’Eretteo, fu eletta fra le donne, ma la prole perse il nome della madre. Estasi per il Kouros, muovendogli intorno come le lancette dei minuti. Io domando: ”Hai visto il divino?”. Passiamo l’istmo. L’Omphalos di Delfi e la fonte Castalia, sacra alle muse, si depositano nel ricordo – e lo sguardo di Adamo nei gemelli di Argos. La sera le ombre si disegnano sulla rupe, Hyampeia, tomba di Esopo, uno scorcio del teatro alla roccia di Sibilla, un contratto con la Grecia, un pensiero in più… etc. “Così, metafora nasce da Delfi”, dove parla di fenici e chimere, immagini composte di oracoli, di sensi diversi.
Londra. Una lettura da cartografo della Deposizione di Michelangelo (National Gallery). Avvallamenti e rilievi dei corpi nella geografia del quadro. Un tessuto di tratti ne regola il colore. Il fondo degli angeli preparato di verde, a pennello rotondo etc. Per tutte le sale la forma rincorre il significato, e il significato la forma.
Madrid. Scrivo dopo il Prado. Il disegno è sempre stato l’ouverture della pittura (o il gran finale per la scultura). Ma, quando l’arte non ha spazio per pensare, non fa più uso del disegno e persuade alla fede con le ombre.
Tokio. Una linea di rigore. Natura e pittura sono qui totalmente sottomesse. In Occidente, tra linee, sfumati e chiaroscuri, è la volontà etc. del disegno che guida la mano. Kyoto. Gran parte di quel che gli occhi vedono è spesso inutile, dobbiamo scegliere tra i riti del vedere a occhi aperti e i riti del vedere a occhi chiusi. Il tattile appare nello stesso tempo nel segno e nel colore.
Tel Aviv. Shalom, Shalom, con un pulmino dalla troppa aria condizionata e fra una calca di strade e autostrade gremite d’auto, il venerdì saliamo a Gerusalemme e alle sacre montagne, poi scendiamo nella depressione del Mar Morto. “Mia povera Palestina” ci dice uno straccione. “Ci hanno portato l’acqua nel deserto e i beduini si sono fermati. Due figli su tre sono alla scuola d’obbligo e con il terzo costruiamo bidonville”. Le fabbriche di Havan vendono il fango in sacchetti, e noi ci bagniamo allo stabilimento. Eclisse di luna a Jaffa. Escursione al mar di Galilea, nel Golan verso la Siria. “Questi alberi li abbiamo piantati perché i cecchini non ci vedessero”. Film sul sacrificio di Isacco, poi visita agli scavi di Beit Shean. Principato di Monaco. Un raga del mattino. La mia iniziazione all’India è alla lettura di Ananda Coomaraswamy che la devo – da allora il mio pensiero cambiò forma.
Viaggio nelle Marche. A Fermo, visita al vecchio palazzo AR + la tomba di Campofilone – tappa a Recanati – i polittici di Crivelli in Ascoli & Montefiore, dove la linea, nel corpo e fuori, è la traccia che afferma la “volontà”.
L’incontro a Venezia con il Prometeo di O.K. è stato, per quel ragazzo che ero, la rivelazione di come la pittura poteva così ricongiungersi alla filosofia, il disegno analitico e la figurazione sono forme del pensiero, le sfide al vedere, quella nuova pedagogia per l’educazione dei nostri occhi. La speculazione del disegno sta nel rivelare quel segreto che si nasconde nella forma delle cose, a prima vista inespresso etc.; dove il segno, silenzioso o retorico-rituale del contemplare svela i ritmi, le pause, i frammenti, le associazioni, le metafore, tutto quel che desta la nostra devozione. Meina. Giorni interi passati sui disegni, a cancellarne ogni traccia mondana. (Confrontarsi con l’utopia è un modo per conoscere la verità): Tutti questi disegni non sono che i frutti di stagione dell’albero che siamo. Disegni senza ombre e senza angosce, dove luce & buio stanno insieme racchiusi nella linea. Ci sono piccole chiavi nella forma chiusa, che muovono il tutto. Un quadrato, variando l’apertura di un angolo, cambia di nome e di aspetto. (Ogni forma tiene uno scheletro nascosto nell’armadio…). Io uso di questa linea chiusa ma, a volte, devo aprirla e rompere quel vaso di coccio. La verità è nascosta dentro (il colore mi aiuta – aspirazione del pittore). I quadri sono i “pezzi della partita”. Con il disegno si monta e rimonta il senso di quel che vediamo e l’occhio ne gode al gioco. Ma infine chi rompe il vaso sta fuori di noi – noi “artisti” eseguiamo solo l’ordine di farlo. Giorni di accanimento da un disegno all’altro: siamo presi per mano. Ed è la grazia – tradizione ed esperienza ingombrano la strada, talento & conoscenza portano il disegno sulla soglia…
Valerio Adami
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