Mario Puccini
(1887-1957)
Il mio negozio di libraio era in una vecchia via di Milano, trascurata dai più: e solo oggi, che vi ha preso stanza la direzione di un giornale di lotta, si sente che quella strada è in una città di quasi un milione di abitanti.
Il mio negozio era dunque in Via Paolo da Cannobbio, venti o ventidue passi prima che s’incontri, venendo da via Rastrelli, la strada dei Tre Alberghi.
Poiché la lettura era allora la mia passione dominante, io non mi curavo delle lotte cittadine, e delle comarate che spesso quella via silenziosa mutavano in un angiporto chiassoso: fedele ai miei clienti che sapevano, venendo da me, di trovare, quando non il libro che cercavano, indicazioni bibliografiche molto precise. Ma io non ho mai preteso alla fama: sono modesto e riconosco che la mia volontà non è genio, che ci si possa buttare alle imprese ardue e cavarne fuori un utile come sia.
E del resto, io ero un uomo sobrio e, quando avevo venduto cinque o sei libri in un giorno, la minestra a colazione e a pranzo l’avevo guadagnata.
Ma tutti mi ripetevano che, con l’ingegno che avevo, cotesto nascondiglio non mi conveniva: che tentassi insomma qualche passo ardito, una casa editrice, per esempio.
Io li ascoltavo, sorridendo: e poiché, quando rido, i denti mi scricchiolano, i miei consiglieri mi battevano le mani sulle spalle e mi dicevano: “Ecco, tu non vuoi tentare, perché hai paura.”
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